giovedì 5 maggio 2011

Il vino nel medioevo


Il Vino nel medioevo
La nostra Compagnia di Arcieri  Medioevali in occasione del friulanissimo fine settimana di "Cantine Aperte " (28-29 Maggio) sarà presente con il proprio accampamento al Castello di Cosa che aprirà, per l'occasione le sue cantine al pubblico. Non volendo trovarci "stranieri in Patria" abbiamo voluto rispolverare il nostro sapere  in fatto di vino pubblicando queste poche informazioni su questa nostra gradita bevanda.... IL VINO
... Se sapeva di botte, se era inacidito o se, quand'era bianco, tendeva troppo al rosso, ci si metteva allume; se non si schiariva, si usava del tuorlo d'uovo fresco, se continuava a fermentare, se ne prendeva un paiolo e, fattolo bollire, lo si mescolava ancora caldo al vino da modificare; se era troppo debole o mediocre, si aggiungeva del mosto cotto; se era di gusto scadente, lo si correggeva con spezie, erbe e frutta.
Come il claretus, che era vino aromatizzato con miele, anice e spezie in polvere. O come quello al rosmarino, che si riteneva che stimolasse l'appetito, sollevasse lo spirito, facesse crescere i capelli e aiutasse a mantenersi giovani e ad avere i denti puliti. Usanze di un tempo e, soprattutto, gusti di un tempo - il Basso Medioevo - che oggi certamente non riusciremmo a fare nostri, anche se il vino (perchè è di quello che stiamo parlando, cioè di un ospite irrinun-ciabile della nostra tavola nonchè di uno dei nostri prodotti d'esportazione più pregiati) è ancora, come allora, protagonista assoluto delle nostre usanze alimentari. Con alcune differenze di fondo, però, che il libro di Mauro Vagni intitolato Dalla vigna alla taverna (Insor Gente Editore, Roma) ci aiuta a scoprire e a comprendere. Innanzitutto c'è da dire che il vino, nelle epoche passate, veniva impiegato anche in tutte quelle situazioni in cui oggi adotteremmo altre bevande corroboranti e socializzanti quali il caffè, il tè, la cioccolata (e anche i liquori), che allora non usavano perchè in Europa erano ancora sconosciute.
C'erano la birra e il sidro, è vero, che però appartenevano di più alle culture dell'Europa settentrionale e che comunque erano bevande considerate di minor valore. Ci pensava dunque il vino a "coprire" tutto, dando vita a una cultura enologica totalizzante, che pare impossibile per noi - e forse neppure lo vorremmo - non dico superare ma nemmeno eguagliare.
Tutti ubriaconi, quindi, nel Medioevo?
Niente affatto. Perchè l'altra fondamentale differenza è che il vino di un tempo era molto diverso da quello odierno: più debole, meno conservabile, apprezzato soprattutto quando giovane e fresco, per cui era consueto berne anche due litri al giorno senza danno alcuno di alcun genere (stando almeno a quello che ne sappiamo). Anche perchè, come abbiamo visto, assomigliava più a una materia prima, cui aggiungere altri aromi e sostanze, che non a un prodotto finito come lo intendiamo noi. Inoltre lo si allungava normalmente con l'acqua. O forse sarebbe meglio dire il contrario, dato che quest'ultima non veniva quasi mai bevuta pura essendo fuori da ogni controllo igienico.

Il vino - Tutta la storia del ben bere in questo video
Il vino, non dimentichiamolo, oltre che usi alimentari (che anche allora lo rendevano parte integrante della dieta quotidiana, tanto che veniva elargito ai poveri insieme con il pane) aveva anche usi liturgici, terapeutici, commerciali e perfino politici, dal momento che nei rapporti tra città e Stati non di rado il "tributo del vino" figurava "in segno di pace o d'amicizia o di sudditanza". Infine esso poteva diventare elemento della mercede nella corresponsione del salario agli operai.
Per conoscere meglio tutti questi aspetti la scorsa estate, in Toscana, a Montalcino (Siena) presso l'agriturismo "La Crociona", si è cercato di ricostruire la realtà del vino medievale attraverso uno specifico seminario nel corso del quale si è parlato di tecniche di vinificazione, di qualità del prodotto, di itinerari commerciali, di tipologie di consumo, di sapori e di tecniche di degustazione (il seminario, chiamato "Laboratorio internazionale di storia agraria." e organizzato dal Centro studi per la storia delle campagne e del lavoro contadino, si svolge ogni anno - questa era la settima edizione - su temi affini). Ma le cose da sapere sono davvero tante. C'erano, per esempio, anche apposite tecniche di conservazione, come ci ricorda Vagni nel suo libro, per cui, quando il vino era contenuto in fiaschi e in altri recipienti di non elevata capacità, era importante l'aggiunta di una modica quantità di olio che, emergendo, evitasse il contatto con l'aria impedendone l'alterazione almeno per un certo tempo. Sulle botti, invece, veniva impiegato del grasso per impermeabilizzarle, mentre quelle che si presentavano ammuffite venivano lavate con un miscuglio di cenere e acqua bollente, cui seguivano due paioli di vino altrettanto bollente. Molto praticato era anche il lavaggio con acqua salata per disinfettarle. Il vino si distingueva in:
  • prìmis, cioè il vino ottenuto dalla semplice pigiatura, quando il mosto fermentato viene messo nelle botti a maturare;
  • purus, cioè quello schietto che non richiede alcuna correzione o lavorazione aggiuntiva;
  • bonus, di buon gusto, giusta gradazione alcolica e tenore zuccherino;
  • odorifenis, dall'aroma intenso e piacevole;
  • fortis, di alta gradazione e robustezza;
  • grossus, corposo e vigoroso;
  • nigrus, rosso e corposo.
Perchè non inacidisse si mantenevano i recipienti sempre colmi e sistemati in locali molto freschi, mentre all'insorgere del primo stadio di questa malattia, chiamato "spunto", si usavano latte, calce viva, gusci di ostriche calcinate, marmo o cenere. Frequente era anche il taglio di vini leggeri con mosti più forti mentre altri, che meglio si prestavano, potevano essere invecchiati fino a cinque anni prima di venir consumati. E c'era pure il modo di trasformare un insulso vino comune in un gradevole moscatello. Bastava prendere una bracciata di fiori di sambuco seccati all'ombra, come ci insegna Paganino Bonafede nel Tesoro dei rustici composto nel 1360, e porla in due corbe di vino mosto.
E poi: «... lassalo stare, allora vignirà vin moscatello de odore e de sapore». Se invece si voleva fare di un bianco un vino rosso, era sufficiente sciogliere nel primo ceneri di vitigni di uva nera. Il che dimostra che il Medioevo non ignorava nulla del vino, nemmeno la sofisticazione di cui oggi siamo purtroppo insuperabili maestri.
.... e per saperne di più collegatevi a queste pagine.....

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